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Da liquido come l’acqua a liquido come il miele: la transizione di fase “smart” adottata dalle cellule per riparare il DNA

2019.10.29

 

Individuata in una proteina cruciale per la riparazione del DNA (53BP1) una modalità di transizione di fase inedita a livello molecolare: è da liquido come l’acqua a liquido come il miele. La consistenza vischiosa che la proteina assume sembrerebbe avere una funzione essenziale nell’attivare il processo di riparazione solo laddove il DNA è danneggiato. La ricerca è stata condotta dal team di ricercatori IFOM guidati da Fabrizio d’Adda di Fagagna grazie al sostegno dell’European Research Commission e di Fondazione AIRC. I risultati pubblicati sull’autorevole rivista Nature Cell Biology, aprono nuove strade alla comprensione della risposta delle cellule al danno al DNA anche nel contesto dei tumori.

Le transizioni di fase sono un fenomeno fisico che ci viene insegnato già a scuola e che possiamo osservare normalmente nella vita quotidiana. Ogni volta che vediamo il ghiaccio sciogliersi in una bevanda (da solido a liquido) o il vapore uscire da una teiera (da liquido a gas), abbiamo appena osservato una transizione di fase: l’acqua passa da solida a liquida a gas. Gli stessi principi che regolano queste transizioni di fase macroscopiche a noi familiari stanno emergendo all’interno della comunità scientifica come un meccanismo in grado di regolare, alla scala microscopica, anche il comportamento della materia vivente. Ed è proprio una transizione di fase di questo tipo a essere stata osservata per 53BP1, una proteina cruciale per la riparazione del DNA. La scoperta è avvenuta ad opera di un gruppo di ricercatori italiani dell'IFOM di Milano e pubblicata sulla rivista scientifica Nature Cell Biology. “Si tratta di un tipo di transizione di fase – illustra Fabrizio d’Adda di Fagagna, lo scienziato IFOM che ha coordinato la ricerca – che abbiamo osservato a livello molecolare e che consiste nella formazione, all’interno di un liquido omogeneo, di “gocce” di un liquido con una composizione molto diversa e caratterizzato da una consistenza simile a quella del miele. Dalle indagini che abbiamo condotto emerge chiaramente che questo tipo di transizione liquido-liquido è essenziale in alcuni processi molecolari significativi per la riparazione dei danni al DNA, un processo fondamentale per la salute della cellula”. I risultati della ricerca - condotta dal team milanese avvalendosi del sofisticato apparato di microscopia dell’unità di Imaging diretta in IFOM da Dario Parazzoli e con la collaborazione dell’Università degli Studi di Milano e della New York University - mostrano che la proteina 53BP1, preposta alla riparazione del DNA in risposta appunto ad un danno nel nucleo cellulare, può gradualmente aumentare la propria viscosità pur rimanendo liquida. “Questo stato – racconta Fabio Pessina, primo autore dello studio – ha una conseguenza estremamente interessante sulla funzionalità della molecola, in quanto permette di concentrare molto efficacemente nel sito del danno sul DNA le proteine preposte alla riparazione del DNA.” Una scoperta che ha visto collaborare in sinergia di biologi, biofisici e fisici della materia.

“È un fenomeno straordinario da osservare – commenta a questo proposito Roberto Cerbino, coautore della ricerca e professore di Fisica Applicata all’Università degli Studi di Milano – soprattutto se consideriamo che avviene nel cuore di una cellula. Immaginiamo una goccia d’acqua: all’improvviso al suo interno si materializzano delle microgocce più dense, che rimangono separate dal resto dell’acqua ma pur sempre a uno stato liquido. Questo è un meccanismo grazie al quale si creano di fatto dei compartimenti senza necessariamente pareti o altri artifici tipici di una vera e propria separazione fisica.” Questa capacita di alcune macromolecole come le proteine di creare da sole compartimenti funzionali, ovvero di separarsi, addensarsi e acquisire una forma propria pur senza un elemento diverso che le contenga – come ad esempio le membrane lipidiche per le cellule – è affascinante e potrebbe essere tra i meccanismi che hanno favorito la nascita della vita stessa. Solo molecole tra loro affini possono fare parte di questi compartimenti interni alla cellula e questo “protegge”, in un certo senso, ciò che vi sta dentro, favorendo allo stesso tempo la concentrazione e le interazioni fra le molecole contenute. “Allo stesso modo – precisa d’Adda di Fagagna – abbiamo osservato che nel momento in cui il nostro DNA si rompe, evento estremamente frequente nella vita delle nostre cellule e ancora di più durante la degenerazione tumorale, proteine addette all’immediata riparazione di questo danno creino un compartimento liquido molto viscoso, come gocce di miele, intorno al DNA danneggiato per isolarlo e per concentrare qui tutti i fattori che aiutano la riparazione del DNA rendendo efficace il processo.”

“In particolare – aggiunge Pessina – abbiamo scoperto che la proteina 53BP1, già nota per regolare la riparazione del DNA, ha una spiccata abilità di modificare il proprio stato fisico a due diversi livelli di liquidità ove il genoma si rompe. Abbiamo anche osservato che l’inibizione di questa sua abilità è risultata essere nociva per la cellula, riducendone la capacità di riparare il danno al proprio DNA con efficienza.”

Dal punto di vista tecnico “una delle sfide più grandi di questo lavoro – precisa Fabio Giavazzi, fisico e ricercatore dell’Università degli Studi di Milano – è stato riuscire a misurare le proprietà fisiche di queste microscopiche goccioline e descrivere in modo quantitativo il loro processo di formazione e maturazione. Questo è stato possibile soprattutto grazie all’acquisizione di immagini di microscopia di elevatissima qualità e risoluzione, e alla loro analisi con metodi quantitativi”.

L’individuazione di compartimenti ‘smart’ formati all’occasione dalla cellula in risposta a un danno al DNA attraverso un cambio di fase “apre una nuova prospettiva – conclude d’Adda di Fagagna – con cui affrontare processi biologici già noti. In particolare, nella lotta alle cellule tumorali, che notoriamente accumulano più danni nel DNA rispetto alle cellule sane, auspichiamo che in futuro si possa trovare un modo di sfruttare questa nuova conoscenza a vantaggio a vantaggio di una terapia contro i tumori piu efficace”.

I risultati di questa ricerca sono stati possibili grazie alla fiducia e al fondamentale sostegno dei finanziamenti in particolare dell’European Research Council e di Fondazione AIRC, oltre che di Fondazione Cariplo e Regione Lombardia.

INFO EDITORIALI

    ultimo aggiornamento: 18/11/19