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Le terapie anticancro di domani: un aiuto dai vecchi farmaci

02/03/2011

Utilizzare farmaci già esistenti per combattere i tumori: è questa la prospettiva che emerge da sempre più numerosi studi internazionali. Ultima conferma in questa direzione viene da uno studio condotto dall’IFOM e dall’IEO di Milano, in cui vengono associate le conoscenze ottenute dalla ricerca genetica a quelle in campo farmacologico, aprendo la strada a possibili nuovi utilizzi di farmaci già presenti sul mercato. Lo studio, realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, è pubblicato oggi online sulla prestigiosa rivista Nature.

Lo sviluppo di nuovi farmaci è un processo altamente complesso. Nel classico iter che porta alla progettazione e alla sintesi di un farmaco il primo passo è quello di comprendere il meccanismo molecolare che determina lo sviluppo di una determinata patologia. Solo successivamente sarà possibile pensare allo sviluppo di una molecola in grado di interferire con tale processo. Ultimamente però questo modo “lineare” di operare sta lasciando il passo a percorsi di ricerca a ritroso o in altre direzioni che, partendo da farmaci esistenti, conducono talvolta all’individuazione di loro funzioni inaspettate.

Lo studio pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista internazionale Nature e condotto dal team di Marco Foiani, direttore dell’unità di ricerca controllo del ciclo cellulare e stabilità del genoma dell’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare e Professore di Biologia Molecolare presso l’Università degli Studi di Milano, insieme al team di Saverio Minucci, direttore dell’unità di ricerca alterazioni della cromatina nella tumorigenesi dell’Istituto Europeo di Oncologia e Professore di Patologia presso l’Università degli Studi di Milano, ha indagato l’attività di due tipi di farmaci, l’acido valproico e la rapamicina. L’acido valproico è usato da decenni come anti-epilettico mentre la rapamicina è invece utilizzata come immunosoppressore nel trapianto di organi. Lo studio ha fatto emergere una polivalenza di questi farmaci che potrebbe risultare preziosa per le terapie antitumorali. “ll nostro studio sfrutta una strategia interessante, che combina le potenzialità dell’analisi genetica in sistemi biologici semplici con l’analisi del meccanismo di azione di farmaci che sono già utilizzati nell’uomo. In questo modo, cerchiamo di trarre il massimo vantaggio dall’utilizzo di sistemi modello ed allo stesso tempo di accorciare i tempi perché le conoscenze raggiunte in questi sistemi diventino utili anche per il paziente” afferma Marco Foiani. In particolare lo studio ha individuato come questi farmaci agiscono contemporaneamente su alcuni processi molto importanti per lo sviluppo del tumore: la risposta ai danni al DNA, l'autofagia (la capacità della cellula di auto-demolirsi) e l'acetilazione delle proteine (un processo di regolazione proteica). Rispetto a quello che si pensava in passato, ovvero che questi tre fenomeni fossero del tutto indipendenti, lo studio ha evidenziato la loro stretta correlazione e sinergia nel prevenire la formazione di cellule cancerose.
“I farmaci usati”, illustra Saverio Minucci, “rappresentano due esempi di quello che viene definito ‘drug repositioning’, vale a dire l’identificazione di nuove attività per farmaci che sono già disponibili ed impiegati per il trattamento di alcune malattie rendendo così possibile il loro utilizzo per altri scopi”.

Chiaramente, i risultati di questo studio dovranno essere confermati nell’uomo per verificare che i farmaci abbiano le stesse attività rilevate in sistemi biologici più semplici. “Questo processo, definito in gergo ‘target validation’, sta diventando così critico per l’identificazione di nuovi farmaci che all’interno del nostro Campus stiamo attivando un team interamente dedicato a questo scopo” spiega Saverio Minucci. Se questi studi daranno risultati positivi è plausibile pensare a degli immediati trials clinici utilizzando questi farmaci in combinazione con altri farmaci o trattamenti che interferiscano con i meccanismi di risposta al danno al DNA.

In base ai risultati ottenuti, queste combinazioni dovrebbero avere un potente effetto antitumorale. E non è detto che il cancro sia l’unica malattia che può beneficiare da questi trattamenti. “Collegando l’azione dell’acido valproico e della rapamicina con la risposta al danno al DNA, potremmo avere una chiave di lettura anche di alcuni risultati molto affascinanti, ottenuti negli anni scorsi da studiosi impegnati nella ricerca sulle malattie associate all’invecchiamento. E sarà estremamente interessante studiare come i meccanismi identificati in questo studio siano all’opera anche durante l’invecchiamento. ” conclude Marco Foiani.

La ricerca pubblicata oggi su Nature è stata possibile grazie ai finanziamenti dell’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), di Telethon, della Comunità Europea (GENICA) e del Ministero Italiano della Salute.

ultimo aggiornamento: 26/03/12