Cavernomi cerebrali: individuato il profilo genico che determina la fragilità dei vasi

Individuato all'IFOM e all'Università degli Studi di Milano con tecnologie genomica all'avanguardia il tipo di cellule endoteliali alla base della formazione dei cavernomi cerebrali. Queste strutture a forma di lampone sono di fatto dei tumori benigni e presentano fragilità proprio nelle cellule presenti all'interno del rivestimento venoso. Tramite un'analisi a singola cellula, il gruppo della professoressa Dejana ha caratterizzato il profilo genico di queste cellule, aprendo alla prospettiva di orientare lo sviluppo di terapie mirate che potrebbero essere, per questo, particolarmente efficaci. I risultati della ricerca condotta in collaborazione con l'Università svedese di Uppsala e sostenuta da fondi ERC e di Fondazione AIRC sono stati pubblicati recentemente sulla rivista scientifica eLife.

I cavernomi cerebrali sono delle malformazioni dei vasi sanguigni del cervello e del midollo spinale. Hanno una forma a grappolo, simile ai lamponi, e gli "acini" pieni di sangue sono chiamati "caverne". La parete di tali caverne è particolarmente fragile e permeabile, a differenza della parete dei vasi sanguigni normali. La conseguenza patologica di tale anomalia anatomica è che i cavernomi sanguinano facilmente, provocando nei pazienti deficit neurologici, crisi epilettiche, mal di testa ricorrenti e, nei casi peggiori, ictus emorragico. Una volta effettuata la diagnosi tramite risonanza magnetica e analisi genetica delle mutazioni responsabili della malattia, l'unico trattamento possibile finora è la rimozione chirurgica tramite craniotomia, una procedura invasiva e particolarmente critica se il paziente è un bambino o se il cavernoma è ubicato in un'area cerebrale delicata o nel midollo spinale.

È noto che le malformazioni cavernose cerebrali sono causate da una mutazione in uno di tre geni chiamati CCM1, CCM2 o CCM3. Tale mutazione provoca l'assenza di una delle tre proteine rispettivamente codificate e che formano il complesso CCM (dall'inglese, "cerebral cavernous malformation"). La mutazione ha luogo nelle cellule endoteliali, che costituisco un componente fondamentale della parete dei vasi del sangue.

Il gruppo di ricerca IFOM e Università degli Studi di Milano guidato dalla professoressa Elisabetta Dejana, esperta di angiogenesi tumorale, negli ultimi dieci anni ha contribuito a definire i meccanismi molecolari alla base della formazione dei cavernomi per individuare approcci terapeutici di tipo farmacologico, in particolare usando farmaci già in uso negli esseri umani per altre patologie, alternativi alla chirurgia, meno invasivi e più risolutivi.

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Nel 2013, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, il gruppo ha definito i cavernomi come tumori benigni formati da cellule endoteliali trasformate che perdono le caratteristiche molecolari delle cellule endoteliali mature, diventano più mobili, invasive, e vanno incontro a una crescita incontrollata. Nel 2019, con un articolo pubblicato su Nature Communications, il gruppo ha chiarito un importante aspetto della genesi dei cavernomi. Questo lavoro ha dimostrato come i cavernomi originino da progenitori endoteliali, che, in assenza di uno dei geni CCM intraprendono un percorso di espansione clonale caratterizzato da una vigorosa proliferazione e dalla formazione di vasi sanguigni anomali.

Molte questioni rimangono tuttavia irrisolte: Quali sono i meccanismi molecolari che determinano la struttura anomala dei cavernomi? Quali quelli che ne determinano la fragilità e il sanguinamento? Potrebbero alcune modificazioni molecolari essere simili a quelle osservate nella crescita tumorale?

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Il nostro corpo contiene diversi tipi di vasi sanguigni (vene, arterie e capillari) composti in buona parte da cellule endoteliali. Le cellule endoteliali costituiscono la parete interna del vaso esposta al sangue e presentano una grande eterogeneità molecolare che dipende dal tipo di vaso e di organo in cui risiedono. Le recenti tecnologie genomiche a singola cellula permettono di determinare la sequenza delle molecole di RNA che singola cellula contiene e quindi di definire l'eterogeneità delle cellule contenute in un tessuto. Nel caso specifico della patologia CCM – dove la mutazione patologica avviene nelle cellule endoteliali – tale tecnica consente di studiare l'eterogeneità delle cellule endoteliali dei vasi cerebrali patologici rispetto a quelli normali.

"Questa è la prima volta – spiega Fabrizio Orsenigo, coautore dell'articolo – in cui questa tecnica viene applicata in un animale di laboratorio in cui è stata riprodotta una forma di CCM. Questa innovativa tecnologia ci ha permesso di determinare quali cellule endoteliali siano potenzialmente responsabili della formazione delle lesioni".

Lo studio ha mostrato, a livello molecolare, che la formazione delle lesioni CCM indotta dalla perdita di CCM3 origina selettivamente dalle cellule endoteliali delle vene. L'assenza di CCM3 in queste cellule ne induce una massiccia proliferazione e ne ritarda la maturazione, dando così origine alle lesioni caratteristiche della patologia CCM.

"Un ulteriore importante risultato di questo studio – continua Maria Grazia Lampugnani, senior investigator presso il gruppo di Elisabetta Dejana – è che le cellule endoteliali arteriose sono invece refrattarie alla perdita di CCM3. In altre parole, nonostante CCM3 sia assente, come nelle 'cugine' venose, le cellule endoteliali arteriose non cambiano il loro assetto di molecole di RNA, come accade invece nelle endoteliali venose, e non contribuiscono allo sviluppo delle lesioni. Sarà importante identificare quali meccanismi blocchino la risposta alla mutazione nelle cellule endoteliali arteriose allo scopo di una potenziale applicazione terapeutica".

Questo studio è stato condotto in stretta collaborazione con l'università di Uppsala (Svezia), dove Elisabetta Dejana guida il gruppo di biologia vascolare presso il dipartimento "Immunology, Genetics and Pathology". La collaborazione con l'unità svedese è stata di cruciale importanza per l'analisi e l'interpretazione dei dati generati.

"L'aspetto interessante – conclude Elisabetta Dejana – è che, grazie all'uso di topi di laboratorio in cui è stato possibile riprodurre la patologia CCM e alla tecnologia all'avanguardia utilizzata in questo studio, abbiamo a disposizione il profilo genico delle cellule potenzialmente responsabili della formazione delle lesioni. Questi dati rappresentano una vera e propria miniera di informazioni che possono orientare lo sviluppo di terapie mirate che potrebbero essere particolarmente efficaci".

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Questa ricerca non sarebbe stata possibile senza il generoso sostegno di Fondazione AIRC e dell'European Research Council (ERC) oltre che di AIFA e Fondazione Telethon.